Camminata del cambiamento del 18 novembre

LA SCELTA DI LIV

 

" ....  mi sono accorta di aver passato più di metà della mia vita a portare abiti che non erano miei, a vivere sentimenti che non erano miei, a dare voce e passione a parole che non erano mie. E poi perchè è successo; mi sono trovata quasi per caso a partecipare a un viaggio in Cambogia come osservatrice dell' Unicef, ed era un viaggio da cui non si poteva certo tornare uguali, non modificati nel profondo...".

Con assoluto, impudico amore nei confronti di una passione civile mal vista in epoca di riflusso, con un soave proselitismo su cui il giornalismo "brillante" si è già appuntato con ironia, con un viso bellissimo e intenso, normale e speciale, su cui l' antica sensualità opulenta che abbiamo conosciuto sullo schermo sembra rarefatta, Liv Ullmann si racconta, guardando dritto negli occhi l' interlocutore.

Spiega perchè ha deciso di lasciare per quasi cinque anni il cinema, "anche se in realtà non è un abbandono totale; ho fatto quattro film, in questi anni, ma cose che non voglio giudicare, che non so se siano belle o no, perchè quello che mi sta a cuore è fare il mio lavoro in giro per il mondo, il mio lavoro per i bambini, per i poveri, e scrivere...". Spiega, di nuovo contraddicendosi, perchè da lunedì tornerà in scena, a Londra, all' Haymarket Theater, con Old Times di Harold Pinter, diretta da David Jones, il regista di Tradimenti, e come questo spettacolo diventerà anche un film, e come spera che lavorare su Pinter e con Jones possa aiutarla a riaccendere un "fuoco", un amore per la recitazione che si è spento da molto tempo, ma che le è indispensabile, perchè recitare le consente di pagarsi la sua passione "politica". Spiega che questo recitare non le era più caro, "perchè non potevo perdere quella cosa preziosa che è il tempo con gente e personaggi poco interessanti", perchè viveva "fuochi e passioni decisi da altri, donne ritratte da qualcun altro, e per di più donne privilegiate, che avevano problemi da privilegiate, una cosa importantissima, per carità, che ci ha aiutato a capire che cosa siamo oggi, all' inizio del 1985, ma insomma, pensavo che ci fosse spazio per fare qualcosa d' altro...". Spiega perchè, dopo una militanza nei movimenti femministi e per la pace, ha sentito l' urgenza di dedicarsi totalmente e faticosamente a una causa come quella contro la fame e la povertà nel mondo, quella per i bambini e i poveri e i vecchi. E spiega perchè, dopo un primo e fortunato libro - Cambiare - scritto per Lynn, la figlia diciottenne nata dal suo agitato amore con Bergman, affinchè sapesse e conoscesse e si evitasse molte trappole della fatica di crescere, ora ha scritto - in inglese - un secondo libro autobiografico, Scelte,  che ha presentato ieri a Roma: meno divertente e meno divertito, meno ironico e spesso sentimentale, frammentario e pieno di quella merce obsoleta che sono i buoni sentimenti, ma onesto, autoironico, sincero, appassionato e diretto, anche per quella semplificazione e quella concretezza a cui costringe lo scrivere in una lingua che non è la tua: e dove Liv parla d' amore e di sete, di teatro e di fame, di benessere e della tragedia della povertà che ha visto sfilare davanti ai suoi occhi (blu) di osservatrice dell' Unicef. "E dire che io non ho mai parlato molto. Sono stata educata a non parlare. Credo di aver cominciato a dire la mia, con fatica, pena e rossori, verso i trent' anni. Mi ribellavo, magari, ma con una ribellione muta ed esplosiva. Ora ho imparato a parlare e a scrivere, senza vergognarmi, per dire le cose che voglio". Altro che parlare. E' diventata eloquente. "Non potrò mai dimenticare un incontro che ho avuto durante il mio primo viaggio "politico". L' incontro con una donna che aveva in braccio un bambino. Il piccolo stava morendo di sete. E lei si trovava davanti a un' alternativa terribile: lasciarlo morire di sete o dargli da bere dell' acqua che sapeva terribilmente inquinata. Ha scelto di dargli l' acqua, la spaventosa scelta della miseria che ha bisogno di tradursi in un' azione in cui ci sia almeno un po' di speranza. Ecco, quando il linguaggio della politica e delle statistiche mi schiaccia sotto le cifre, dietro tutti quei numeri ci sono sempre per me, e vorrei che ci fossero anche per chi mi segue e mi legge, quella donna e quel bambino, quei milioni di donne e di bambini con il loro volto e la loro sofferenza. E vorrei riuscire a non stancarmi mai di parlare per loro, io che ho sempre avuto paura di annoiare, di riuscire scomoda. Tutti i movimenti hanno i loro portavoce. Ma i bambini e i diseredati non hanno microfoni, non hanno voce. Se stiamo zitti noi che siamo diventati la loro voce, sarà il disastro". Ora che ha imparato a parlare, dice con innocenza anche cose imbarazzanti. "Ingmar Bergman? Le cose che ho amato di lui come persona sono anche quelle che ho amato di lui come professionista: l' intelligenza, certo. Ma ho capito di lui delle cose che prima non capivo. Macchè cinema di donne, il suo. Cinema di personaggi femminili interessanti, come no?, in primo piano, ma tutti guardati dal punto di vista di un uomo che da sempre ha avuto una stanza tutta per sè, che le donne le vuole intelligenti ma al loro posto, che cerca di inculcare il senso di colpa ai suoi personaggi femminili via via che li libera. Solo la Marianne di Scene da un matrimonio è riuscita a sfuggirgli, forse. Ma per Sinfonia d' autunno ha costretto me e Ingrid Bergman a pronunciare battute che non appartenevano in nessun modo alla nostra esperienza e che lui non voleva modificare per nessuna ragione. Ci sono state risse furibonde su quel set; e ho giurato che non avrei più accettato un film in cui una donna chiede scusa, o si sente chiedere scusa, per qualcosa di cui non si può essere colpevoli: come vivere, crescere, esserci". E' un discorso che riguarda anche sua figlia Lynn, che sta per andare a vivere da sola, ora che è all' università, a New York, che da grande vorrebbe scrivere e che già si è "allenata" con un feroce e ironico ritratto di Ingmar, il grande padre latitante e ferocemente egoista. "Vorrei che Lynn non conoscesse il senso di colpa, che sapesse, andandosene, che non si porterà via la mia vita e la mia identità, come è accaduto a me, con una madre solo madre, che non saprò mai che donna fosse per gli amici, per la gente, per il mondo...". Lei ha detto di avere scritto per Lynn. "Perchè voglio che mi conosca. E perchè voglio risparmiarle alcune cose". Quali? "Più di tutte una: vorrei che non sperimentasse il dolore di non capire quando un amore è finito, sia che non si ami più, sia che non si sia più amati. Che le sia evitato lo strazio della inconsapevolezza e un senso distorto del dovere. E vorrei che ridimensionasse l' amore, che scoprisse con meno fatica di me le sue vere dimensioni di fronte alle passioni veramente importanti della vita".

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