Camminata delle orme e delle erbe

 La leggenda della Luna Piena

In una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso.

In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve.

Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:

- Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un po’?-

- Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! – rispose il lupo.

La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfio, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla.

- Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto – disse, dolcemente partecipe, al lupo in pena.

Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna. Poi sparì tra il folto della vegetazione.

Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore.

I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.

 

L'ESIGENZA UMANA DI LASCIARE UNA TRACCIA DI SÈ
Noi siamo tempo.

Siamo collocati di fatto in un tempo che ci definisce, la nostra esistenza è infatti costituita da un passaggio che comincia (nascita), ha un percorso (vita) e un tramonto (morte). Possiamo descrivere la nostra vita come una successione cronologica di questi tre stadi a cui possiamo associare le tre coordinate temporali: passato, presente e futuro

Siamo tempo, dunque in modo concreto, “siamo storia e siamo la nostra storia nella storia” riconosciamo infatti a ogni individuo la sua storia, o meglio l’intreccio di storie che ne caratterizzano l’unicità e il valore.

Ci inseriamo con la nostra storia singolare in quella che è la storia del mondo, della società e del tempo in cui viviamo, parte di quel flusso che è il divenire e consci del rischio di oblio che costantemente ci accompagna.

“La materia fluisce senza arrestarsi mai e solo le cose che restano costanti e immutabili impediscono che gli individui abbiano la durata di un attimo” questa citazione di Bacon riportata da Rossi nel suo libro definisce la posizione dell’uomo nel tempo, analizzata da un punto di vista esterno che ne evidenzia la precarietà e contingenza. All’importanza delle storie dei singoli individui si intreccia la Storia, quella del tempo in cui essi vivono e che scorre inesorabile non curandosi di essi. Queste considerazioni ci portano inevitabilmente al tema della necessità primordiale dell’uomo di lasciare un segno del proprio passaggio, per poter in qualche modo vivere ancora anche dopo la morte. Ciò affonda le sue radici nel primordiale timore di essere dimenticato che accompagna l’uomo sin dalle origini della sua specie e che si è espresso in varie forme e da parte di innumerevoli popolazioni nel corso della storia, soprattutto nei riti funebri. Tutte le società infatti trattano a loro modo la morte, il primo dei misteri per affrontare il quale l’uomo ha rivolto il suo sguardo all’invisibile. Da qui scaturisce il bisogno di simbolo che caratterizza tutte le culture, per prolungare la vita esorcizzando la morte tramite l’ immagine.

L’arte nasce dunque dalla paura dell’oblio e del nulla che si traduce nel rappresentare, per rendere presente l’assente, attraverso l’immagine. Essa rimane tuttavia ambigua, perché contiene e conterrà sempre il riferimento al vuoto e alla mancanza, così come il simbolo essa non potrà dunque coprire totalmente il nulla, che, anche se soltanto in parte, affiorerà sempre proprio perché richiamato dalla stessa immagine.

Questo ruolo dell’arte è proprio anche della memoria, è infatti attraverso il ricordo che facciamo esperienza del tempo, ed è grazie ad esso che abbiamo la percezione del tempo passato e, nell’ottica della progettualità, anche del tempo che ancora deve venire.

Ma cos’è la memoria?

Ciò che ricordiamo è il frutto di un lavoro dell’immaginazione che ricostruisce le impressioni di momenti di vita, è “il casuale sovrapporsi e intrecciarsi, nella contemporaneità, di emozioni e di immagini che appartengono a tempi diversi” , è dunque un lavoro che si svolge nel presente e che può essere provocato dall’incontro casuale con oggetti, profumi, sapori…che richiamano eventi passati.

Se facciamo riferimento alle parole di Rossi: “Cercare, trovare, giudicare, conservare, trasmettere. La specie umana fa quasi solo questo” , possiamo scorgere un’ulteriore definizione della memoria, quella di tecnica della conservazione, per la quale l’uomo in seguito al lavoro di elaborazione, giudica degno di conservazione un particolare momento e ne decide quindi la trasmissibilità all’altro. Il rapporto con l’altro è fondamentale in questa visione, ciò che ricordiamo è infatti finalizzato ad essere condiviso, e noi non facciamo altro che raccontarci e raccontare la nostra vita agli altri, per confermare noi stessi ed essere riconosciuti nella nostra individualità.

La memoria si rapporta quindi all’identità, ciò è evidente se torniamo all’esigenza intima dell’uomo di essere ricordato, per ottemperare la quale egli cerca i mezzi per dare forma alla sua simbolica perpetuazione; è l’ individuo, nella definizione più profonda della sua unicità che chiede di non svanire nel nulla, di non cedere al destino implacabile della corporeità, ma di restare nella memoria anche di una sola persona, per ciò che è stato e per ciò che ha vissuto.

Questo timore di cadere definitivamente nell’oblio è lo stesso in tutte le culture, a partire da quelle che abbiamo chiamato primitive o selvagge, fino alla nostra tradizione culturale.

Abbiamo bisogno perciò di forme che contengano pezzi di noi e della nostra vita interiore, che sappiano comunicare quello che siamo stati anche dopo la nostra scomparsa materiale.

Il simbolico mette a disposizione molti strumenti per poter raggiungere questo obiettivo, fra questi abbiamo incontrato la scrittura di sé, che si esprime come progetto autobiografico concreto e che trasferisce su un supporto materiale il racconto della nostra vita e della nostra interiorità, affinché qualcuno un giorno possa leggere di noi. Scrivere la nostra autobiografia significa consegnarci in qualche modo all’eternità, al seppur precario supporto di un quaderno, di un diario oppure di una pagina web.

Un altro strumento che consente di mediare tra il visibile e l’invisibile, è l’arte che, lasciando una traccia di noi sotto forma di immagine simbolica evocherà, auspichiamo, ciò che vorremmo comunicare di noi stessi agli altri, in particolare a coloro che verranno.

Per appagare la necessità di prolungare noi stessi lasciando tracce di quel che abbiamo vissuto, ci serviamo dunque delle "cose" nelle quali ci vediamo riflessi, e che rievocano vissuti che crediamo evocheranno anche a chi verrà dopo di noi.

Non è stato fin qui menzionato uno dei mezzi più significativi che ottemperano a questo scopo, ma è certamente evidente il ruolo della musica a questo proposito; essa è innanzitutto opera autobiografica, che lascia tracce dell'autore nei cuori e nelle menti delle persone. La canzone è inoltre una modalità privilegiata per trasmettere messaggi e pensieri in ricordo di qualcuno.

 

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